Sto cercando di smettere, dice il titolo e non si sta parlando di tabagismo. Perché la scelta di questo titolo, allora? Di solito si cerca di smettere con i vizi. Non certo con la musica, come invece capisce chi legge questo libro. Be’ in realtà sì, se la musica porta con se delusione, fraintendimenti, litigi, sfacchinate per andare nei locali sparsi per l’Italia a suonare….Allora perché non smettere, si chiede più volte l’autore, anzi, più cambiano i gruppi, più aumentano le delusioni, più passano gli anni e diventa “grande” più questa domanda diventa ricorrente. Ma la risposta è una sola, sempre e solo quella: non è possibile smettere. Il rock prescinde dalla tua volontà, scrive Augello. Il rock passa e travolge. Il rock non è un approdo. Il rock è quel flusso. Il rock è quel viaggio. Il rock è il rock. E allora all’improvviso diventano sopportabili anche le sale prove da dividere con altri gruppi o persino le sale prove che a un certo punto chiudono, o i microfoni post bellici delle parrocchie (perchè dove se non nei locali di una parrocchia solitamente iniziano il loro cammino le band di provincia?), diventano sopportabili anche i pochi locali che permettono di suonare live in Capitanata e che comunque ti ripagano al massimo con un panino e qualche birra. Tutto questo, dicevo, diventa sopportabile per chi è stato attraversato dal demone del rock…al massimo si decide, come fa appunto l’autore, di “incanalare” tutte le delusioni, la sofferenza, insomma tutta la MALORA, nel nome stesso della band. Un modo strampalato ma di sicuro effetto per esorcizzare il contesto. Il libro in realtà è partito come uno scambio di mail con una presunta LO e ciò si vede anche dal tipo di scrittura: discorsiva, semplificata, sincopata, più che scritta “digitata” come si fa oggi con gli sms…siamo nell’era di facebook, del volume massimo di informazioni e tutto diventa fast, anche il linguaggio. Le frasi sono corte e concise, spezzettate, il linguaggio è quello che si sente per strada. Ma ciò è ovviamente una scelta: per Toni Augello il linguaggio, la scrittura, proprio coma la musica, deve essere immediata, senza filtri né schermi, poca accademia, poca “maniera”, questo è l’unico modo per arrivarti dritta in faccia. Si sente infatti tutta la passione, il dolore, tutte le emozioni forti ma, e qui dove credo davvero ci sia la grandezza del libro, anche queste emozioni forti sono dirette sì ma sempre attraversate da una sorte di ironia, di fatalismo, di distacco; il non prendersi troppo sul serio insomma, e persino quando scrive di malattie lo fa in velocità, senza fermarsi troppo né piangersi addosso, anzi, si prende in giro…come nel passo in cui dice al producer che non se la sente più di continuare, anche a causa del colesteatoma che l’ultima tac dice stia rispuntando nel primo orecchio operato, il producer gli risponde che “Le cose che finiscono con –oma non hanno mai impedito di fare un disco a nessuno!”. E’ questa la forza di questo libro dicevo, l’ironia che impedisce di darsi delle arie, poiché, alla fine l’autore è consapevole di essere un rocker di provincia. E la provincia, intesa come stato d’animo, nel libro c’è a bizzeffe. Provincia è la vita da bar, con tutta la filosofia da bar che ci sta dietro, dove persino un presunto avventore di nome Vasco Rossi viene messo a posto dal barista di turno; provincia è la descrizione dei locali dove anche un pezzo come “Certe notti” del Liga viene cantato stile “Una rotonda sul mare”, provincia sono i curiosi che si avvicinano al palco e chiedono cosa significa Malora..e soprattutto se è una parola inglese o tedesca? Provincia è l’abitudine a dare a tutti un soprannome; provincia sono i lavori che offre, la provincia, come il bracciante agricolo, a fianco degli extracomunitari, a faticare con loro per riempire le cassette di pomodori sotto un sole cocente. Una cassetta mille lire dell’epoca. Insomma, un ragazzo che ha in testa il rock e quindi inevitabilmente l’America e invece si confronta con il territorio in cui vive, l’Italia meridionale…ma anche qui, nonostante tutti questi limiti che la provincia indubbiamente offre, si vede che nelle descrizioni Toni non ne parla mai troppo male: c’è una sorta di accettazione, come un fatalismo o persino un po’ di tenerezza verso tutto questo. Perché, alla fine, è la sua terra e l’autore è consapevole di essere un rocker di provincia, o meglio, un presunto rocker di provincia! L’importante è una cosa sola: l’importante è continuare ad andare, a camminare, perchè come dice la citazione di Jack Keruac tratta da On The Road e citata nel libro da Toni: “dobbiamo andare e non fermarci mai, finchè non arriviamo/ per andare dove, amico?/ non lo so, ma dobbiamo andare.” E ancora, dice Toni: “Credo che non vale la pena partecipare, né tanto meno vincere, se non riesci cmq a divertirti!” È lì il segreto di tutto e anche il segreto della sua forza: non prendersi mai troppo sul serio. “E’ uno strano sogno”, conclude. “Strano ok, ma non svegliatemi cmq. Se qualcuno mi cerca, ditegli che sto cercando di smettere!”
Valeria Lauriola, libraia.
tratto da http://www.ventonuovo.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=87:sto-cercando-di-smettere-di-toni-noar-augello-zona-editore&catid=37:divagazioni-letterarie&Itemid=59
novembre 17, 2009
Categorie: varie ed eventuali . . Autore: Toni Noar Augello . Comments: Lascia un commento