Io non tremo

Le settimane a seguire scivolarono senza freni. Dopo essersi assicurato per un altro paio di giorni che le 7.25 fossero realmente l’orario di uscita della donna per recarsi a lavoro, si concesse una settimana di ferie per tornare a dormire il sonno dei giusti. Quello beato e senza i sogni bruschi, che pure avevano permesso che si avverasse la classica svolta alle indagini. La settimana successiva, rinfrancato nel corpo e nello spirito, prese a dedicarsi al compito più agevole di provare ad intercettare la donna al rientro. Piantonò le imposte tra le 13.00 e le 14.30. Più che seguire una pista, provava a figurarsela. Se lavorava nel mondo scuola, o come impiegata in qualche supermercato, sarebbe rientrata a casa per pranzo. Ci sperava. In caso contrario l’aspettava parecchio altro lavoro. A seconda della professione, sarebbe potuta rincasare in un orario qualsiasi tra le 15.00 e le 18.30. Tre ore e mezza di picchetto. Una bella rogna, insomma. Non che Jimi avesse chissà che cosa da fare. Ma era il tipo da evitare accuratamente qualsiasi tipo di impegno, soprattutto se a lungo termine. Cozzava con la sua religione. La pigrizia. Congenita, acuta, senza scampo. Per tenersi impegnato durante i turni di guardia aveva preso a figurarsi la scena dell’incontro. Valutava meticolosamente le parole da dire, le espressioni ed i gesti con cui accompagnarle. Di queste considerazioni teneva nota su di un cartoncino a parte, ricavato da uno dei fondi delle confezioni multiple di Ringo da 6, rigorosamente al cioccolato, che consumava durante l’attesa. A volte mangiandoli da cristiano, altre aprendogli in due il ventre e leccandone il ripieno, prima di trangugiare i biscotti. Fierezza, campeggiava in alto al centro, tutto in stampatello. Contornata da leggero sorriso, stava scritto sotto in minuscolo. A seguire, in un campo di battaglia contraddistinto da pesanti sbarrature ed articolati fili spinati di X, si leggeva qua e là qualche complimento. Sei una bella anima. Per esempio. E qualche dichiarazione. Io non tremo. Ispirata dagli Afterhours, ho ragione di credere. Ed altre banalità che al netto di un confronto diretto parevano anche reggere. Considerata la disponibilità di tempo e cartoncini, si era anche prodotto in versi, bozze di testi per canzoni incentrate su di lei, ed anche appositi cartoncini di comunicazione. Sull’intera superficie di questi ultimi si produceva in scritte cubitali come CIAO!, piuttosto che PIACERE, JIMI. Oppure, IO JIMI, TU? Nel bel mezzo di tutto questo sbattimento ogni tanto si concedeva una pausa. Metteva la chitarra in spalla ed andava in sala prove a provare a far stare i suoi testi su qualche giro armonico. Fu tornando l’ultima volta dal Music Lab che si incontrarono. Erano a due passi dall’incrocio di via Mandes, dove abitavano entrambi, e via Kennedy, il corso dove fermava l’autobus e parcheggiavano le auto in sosta. Lei veniva da una parte, lui dall’altra del medesimo lato di marciapiede. Lo stesso che, qualche passo più avanti, sarebbe scivolato alla destra di lei ed alla sinistra di lui nella loro strada e li avrebbe condotti agli ingressi delle proprie abitazioni ad una distanza costante di circa 4 metri, in assenza di colpi di scena.

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